Il Governatore Romano, dopo un processo burrascoso, consegnò Gesù nelle mani dei suoi soldati affinché fosse flagellato. Da quel momento nessuno avrebbe limitato le loro azioni spietate, ed essi non avevano alcuna considerazione della vita umana.
La Corte era composta di 600 soldati circa, poiché era la decima parte di una legione, formata da 6000 uomini. Una di questi era di guardia alla Torre Antonia, un’altra attendeva ai comandi di Pilato e una terza parte rimaneva di riposo dal proprio turno. Quindi, approssimativamente, gli invitati ad assistere allo spettacolo disumano dovevano ammontare a duecento persone circa.
Dopo una crudelissima flagellazione i militari pensarono di divertirsi ancora con una macabra messinscena; il pensiero di avere di fronte una persona che si ritenesse Re, Profeta e Messia di un popolo nemico rappresentava per loro un’occasione irresistibile e forse irrepetibile. Era qualcuno da umiliare e totalmente in balia delle loro manie, da seviziare e su cui sfogare le follie più represse.
Solitamente un condannato alla crocefissione non era agghindato come un re da burla, tanto è vero che ai due ladroni crocefissi con Lui non fu riservato lo stesso trattamento.
La Bibbia racconta la storia così: “Allora i soldati del governatore, avendo condotto Gesù nel pretorio, radunarono attorno a lui tutta la corte. E, spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto. E, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra; e, inginocchiandosi davanti a lui, lo schernivano dicendo: “Salve, o re dei Giudei!”. Poi, sputandogli addosso, presero la canna e con quella lo percotevano sul capo. E dopo averlo schernito, lo spogliarono di quel manto e lo rivestirono delle sue vesti; poi lo condussero via per crocifiggerlo”. (Mt.27.27-31)
Gesù era diventato l’oggetto del loro divertimento e passatempo; dopo un supplizio che lo aveva reso inguardabile all’occhio umano, la loro audacia aumentò, incoraggiata dalla smania di dimostrare ai commilitoni la loro forza, il loro coraggio e la capacità di fare del male. Posso immaginare quale ragionamento abbiano fatto quei soldati privi di compassione: “Quest’uomo dice di essere Re, allora perché non adornarlo con oggetti tipici di un sovrano?” Lo presero e lo portarono al centro del lastrico dopo averlo, ancora una volta, spogliato dei suoi indumenti.
Probabilmente lo fecero sedere su quella mezza colonna a cui fu legato durante la flagellazione utilizzandola come un trono. Man mano che la gente invitata allo spettacolo arrivava, gli schiamazzi aumentavano, c’era chi gridava per incitare maggiormente a essere più crudeli, chi lo scherniva da lontano e chi semplicemente assisteva impassibile alla macabra commedia. Così cominciarono la vestizione, presero una vecchia clamide Romana e gliela posero sulle spalle; “un vero re è coperto di un mantello di porpora”.
Poi uno dei soldati ebbe un’idea veramente diabolica, congegnò uno strumento capace di infliggere dolore e contemporaneamente rappresentare l’elemento più simbolico di un re, ossia “la corona”.
Nelle vicinanze della fortezza probabilmente doveva esserci qualche siepe con delle spine molto resistenti e pungenti, le presero e modellarono con esse una corona infernale, destinata a diventare un oggetto mitico della passione di Cristo. A questo punto mancava «lo scettro» perché il fantoccio re fosse perfetto nella sua regalità attrezzata e truccata.
Anche in questo caso ebbero un’idea semplice ma raffinata: gli diedero una canna al posto dello scettro e ciò offrì loro un’ulteriore opportunità di derisione e di tortura. Il travestimento era completo e la crudele simulazione poteva cominciare: si genuflettevano fingendo di acclamarlo come re e gridavano a gran voce: “Viva il re degli Ebrei!” ma subito dopo, per dimostrare il loro disprezzo, si scatenavano contro di Lui con sputi, schiaffi e maltrattamenti vari. Quel branco di uomini alternava la tortura allo scherno, agli insulti le umiliazioni più basse e bisogna chiedersi se il dolore maggiore fosse provocato dalle sferzate o dalle offese.
I suoi torturatori riprendevano in mano il falso scettro e con esso spingevano sulla corona per infliggere maggiore dolore e le spine penetravano nelle carni sempre di più. La sofferenza si acuiva quando con la stessa canna percuotevano violentemente il capo cosicché le spine laceravano e aprivano ancora di più le ferite e quei pochi aculei che erano distanti dal cranio potevano raggiungerlo e tragicamente provocare altro male.
Quella corona di spine si era intessuta nel cranio, quasi a divenire un tutt’uno; così confitta, non sarebbe potuta cadere e, per toglierla, sarebbe stato impossibile non causare altro spasimo. Il sangue doveva grondare sul viso e lungo tutto il corpo così da renderlo irriconoscibile e inguardabile; a questo proposito la profezia di Isaia che descrive la Sua passione dice: “Simile a uno davanti al quale ci si nasconde la faccia” (Isaia 53.3).
L’uomo che inventò quella corona di tortura ebbe un’ispirazione veramente diabolica anche se, come disse San Atanasio: “Se il demonio avesse immaginato che gli strazi che egli fece soffrire al Salvatore dovevano riuscire tanto utili a noi uomini e tanto funesti all’inferno, mai avrebbe ispirato ai suoi satelliti tanto furore”.
Gesù di fronte a questo trattamento rimase impassibile, chiuso nel suo mutismo nascondeva la vera regalità. Mentre i suoi aguzzini pensavano di annientarlo e di umiliarlo, lo stavano incoronando Re dei redenti, Re del cielo, lo Splendore di tutto l’universo, l’Essere Supremo dinanzi al quale ogni creatura del cielo, della terra e sotto terra dovrà inginocchiarsi.
Ogni persona che si sofferma a considerare quell’orribile strazio non può che contristarsi al semplice pensiero. Goffredo di Buglione, un nobile feudatario che partecipò alla prima Crociata per la conquista di Gerusalemme, entrando nella città da vincitore ebbe un attimo di sconforto e, quando più tardi vollero incoronarlo Re, rifiutò che la cerimonia si svolgesse in quel luogo dicendo: “Non sia mai che io sia incoronato Re nella città in cui fu posta una corona di spine sul capo del Signore”.
I primi cristiani non usavano mettersi certe ghirlande di fiori come i pagani perché pensavano fosse un’offesa al divino Maestro coronato di spine.
La corona di un re generalmente, oltre ad avere un valore intrinseco, ne possiede anche uno simbolico. Essa conferisce indiscutibilmente all’uomo, sul cui capo è posta, dignità regale, potere e facoltà di governo. La famosissima cerimonia dell’incoronazione è l’esempio più clamoroso di ciò che la corona rappresenti nella figura di un re. Dal momento in cui essa è poggiata sul capo di un uomo, inizia il regno di un nuovo re.
Anticamente quando due regni si affrontavano in battaglia, il monarca perdente era condotto alla presenza del vincitore, doveva poi inginocchiarsi in segno di sottomissione e gli veniva tolta la corona, che era donata al nuovo re. Quest’azione indicava in maniera pubblica il trasferimento di autorità da un regnante all’altro.
Una storia che descrive quest’usanza è contenuta nel secondo libro di Samuele al capitolo 12, verso 30. Il Re Davide invase la città dei figli di Ammon conquistandola. Il racconto ci dice che fu tolta una corona d’oro e pietre preziose dal capo del loro Re e fu posta sulla testa di Davide. Il re perdente fu spodestato dei suoi poteri che furono conferiti al Re Davide.
La corona di spine che Gesù portò sul capo potrebbe simboleggiare il potere negativo che domina la mente di ogni uomo. L’umanità è sotto il dominio del peccato perché nel giardino dell’Eden ha ceduto alla tentazione di Satana. La Sacra Scrittura dice che da quel momento tutto il mondo giace nel maligno (1°Gv.5.19) e che a causa del peccato di un solo uomo la morte si è estesa a tutti gli uomini (Rm.5.12).
I militari Romani senza saperlo trasferirono sul Cristo la maledizione del peccato; Egli la portò sulla croce spezzando ogni legame e abolendo ogni autorità. San Girolamo afferma: “Intrecciando la spinea corona, Gesù sciolse l’antica maledizione”. Chiunque crede in Lui e lo riceve nel proprio cuore come Re e Salvatore riceverà la corona della vita; in questo modo si realizzerà uno scambio perfetto: noi gli abbiamo donato una corona di morte e dolore ma egli ci dona la corona della vita eterna.
Gesù venne per combattere una battaglia straordinaria il cui unico obiettivo era di conquistare anime per il Suo regno e strapparle dall’inferno. La Sua lotta non era contro gli uomini ma contro il male che li affligge, Egli venne per conquistare le chiavi dell’Ades e della morte e per donare così la vita all’uomo peccatore perduto. Tertulliano disse: “Col tormento di questa corona Gesù ripara i peccati di tutti gi uomini”.
Le Sue armi non sono mortali o di distruzione di massa usate spesso dai tiranni di questa terra ma sono l’amore, la fede, la giustizia, la misericordia e il perdono. Egli è venuto per essere il Re di coloro che lo desiderano, proprio come gli disse il ladrone crocefisso al suo fianco “Ricordati di me quando sarai nel Tuo Regno”. Il Suo infinito amore per la Sua creatura gli ha permesso di sopportare tutto ciò, bisogna ammettere che il vero amore non ha prezzo.
Un’altra figura che la corona di spine di Cristo ci ricorda è il sacrificio efficace per la purificazione della mente dell’uomo. Gesù ha avuto la testa circondata di spine così come la mente dell’uomo, a volte, è piena di malvagità o di sofferenze simili ad aculei perforanti e logoranti.
Se pensassimo, solo per un istante, a tutta la nostra cattiveria, ai nostri pensieri e sentimenti peccaminosi, alla capacità di escogitare il male, se ricordassimo brevemente i crimini di cui si è macchiato il genere umano nel corso della sua storia e se ci sforzassimo ancora un poco, potremmo ricordare quanta gente soffre psicologicamente o comunque di problemi che rientrano nella sfera della mente; possiamo facilmente associare quella funesta ghirlanda a quel pesante fardello che la mente umana porta da sempre.
Egli ha voluto prendere questa zavorra su di sé e, pagando un grande prezzo di riscatto, ci ha donato la possibilità di essere affrancati dal peccato di ogni genere: pensieri, opere e omissioni.
Grazie a quel sacrificio possiamo avere la mente di Cristo (1°Co.2.16), essere liberi da ogni gravame e avere una pace profonda.
Ancora oggi la Sua opera redentrice è valida e chiunque ha bisogno può rivolgersi al Cristo risorto e vivente per un aiuto efficace.
Nei Vangeli leggiamo il Suo invito: “Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo per le vostre anime. Perché il mio giogo è dolce e il mio peso è leggero!” (Mt.11.29.30).
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